Antonino Amato

Biografia

Antonino Amato, nasce a Messina il 15.10.1953. Architetto di professione, disegna e dipinge da tantissimi anni, ed è ormai questa la sua vita.

“Manifesto della maniera” di Antonino Amato 

Se cercassi di fare altro, mentirei a me stesso. Così mi abbandono alla Maniera. Non ho altro da proporre che non sia l’intelligenza e la bellezza del fare. Pura estetica del segno. Così rifaccio lo stesso quadro anche tre o quattro volte solo perché la linea si è imbrattata nella non perfetta superficie del foglio. Non posso fare a meno del controllo assoluto dell’immagine, un’assoluta abdicazione dei materiali ai miei progetti. Forse ciò comporta la rinuncia alle emozioni. Forse…

Forse sono semplicemente un artigiano dell’immagine, un “illustratore” come in un certo senso testimoniano i miei acquerelli “botanici”. Forse…

Eppure dietro una fitta trama di sottilissime linee segnate dalla punta sempre temperata della matita, a volte scorgo l’affollarsi dei suoni di quei paesaggi da me spesso evocati. Le mie figure femminili sostano in attesa dell’evento dell’epifania del loro apparire. In questo modo provo, come un piccolo granello di sabbia, a incastrarmi negli ingranaggi mostruosi della cosiddetta arte contemporanea. Provo a dire la mia nello strepitare di un coro rumoroso di epigoni e falsi maestri del pensiero. Sempre più lontana dal mondo reale, arrotolata su una matassa schizofrenica di fili inadatti a tessere tele di relazioni con la società autentica e con la vita quotidiana, la cosiddetta arte contemporanea inventa sempre nuove strade di uscita dalla realtà aggrappandosi alla vana provocazione al sempre più esasperato bisogno di meravigliare, scandalizzare, stupire, in quella particolarissima sfera della coscienza umana che è l’ignoranza e l’incapacità di giudizio. Arte effimera che produce alienanti giochi di ruolo, sconcertanti pastiche social-politici, luogo di ipocrite adesioni di un pubblico presenzialista che ripete il verso del critico di turno.

Così dipingo la Maniera. E nella maniera cerco l’onesto mestiere del comunicare. Non c’è nulla da capire se non il semplice rivelarsi di un’esistenza (sia essa un paesaggio o una ragazza o un fiore). L’emozione forse sta in quell’altrove in cui è rimasta quell’esistenza a cui io rimando. Ecco cosa ho da proporvi! La nostalgia! Si! nostalgia di uno sguardo che finalmente vede. Vorrei comunicare la gioia di sapere che le cose esistono o sono esistite ed io le ho viste e sono rimaste nella mia memoria.

Alla maniera mi ha condotto la responsabilità del piccolo talento che qualcuno ha posto in me. Responsabilità vuol dire: rispondere di! A questo ogni artista oggi è chiamato. A rispondere del proprio talento a domandarsi se sta facendo la cosa giusta. A porsi dinanzi il mondo, la gente, scendendo dalla sua torre d’avorio in strada. Ascoltando le voci e smettendo una volta per tutte l’aura intoccabile di incompreso maestro della propria sensibilità, mostrandosi infine su un piano di intelligibilità e di ragionevolezza scegliendo un’arte che si faccia capire riempiendo il mondo della bellezza di cui ha tanto bisogno.

Occorre ripartire dal linguaggio. Dalla tecnica anche. Dal mestiere. Dal disegno, dalla matita, dalla prospettiva, dal chiaroscuro, dall’anatomia, dalla composizione, dalla teoria dei colori, dal disegno dal vero. Occorre ripartire dai maestri, dai manuali. Senza ignorare lo straordinario apporto del novecento, ricominciare dall’ottocento guardando trasversalmente a tutta l’arte di tutti i tempi e di tutte le latitudini.

Non ricordo quando ho preso per la prima volta in mano una matita e mi sono messo davanti a un foglio di carta bianco. Deve essere stato molto tempo fa. Il disegno è così strettamente tessuto con il mio quotidiano che fatico a immaginare la mia vita senza. Il segno diventa di-segno e con esso guardo la realtà facendola diventare il mio vero. La matita è l’ago della mia personalissima bussola con la quale mi muovo nel mio spazio georeferenziato, conosciuto e riconoscibile. Senza, sarei perso. Così disegno provando la fatica della vita e il foglio diventa il luogo della mia com-prensione. Tutto il mio esistente attraversa il biancore abbagliante del foglio e vi si deposita come dura grafite, lucido minerale. Così ho disegnato le case dell’uomo e quella di Dio e in particolare i suoi guardiani fedeli, gli alberi. Sono essi le sentinelle che annunciano l’alba. Il paesaggio è l’orizzonte nel quale si affatica l’uomo, la linea del suo pellegrinare. Disegno i sentieri del viandante, le sue emozioni, il suo stupore. Disegno luoghi, dove abitare nel calore della bellezza. Racconto la mia meraviglia sperando di condividerla con chi voglia, un attimo appena, sostare. E per fare questo mi basta una matita. No, per la verità, un’infinità di matite, da quelle spigolose e metalliche come le dure H fino alle materne e morbide B 7, 8, 9. Fino ai bastoncini di grafite pura. Anche una gomma, perché non mi pento mai abbastanza dei miei errori e poi le dita che accarezzano sfiorano impastano modellano le nuvole di nero fumo che avvolgono alla fine il mio segno. E poi le matite a colori. Da quelle più sontuose e corpose a quelle più proletarie che ormai si offrono in centinaia di colori: tutti allegramente acquerellabili.

Da quando tempo l’uomo dipinge le pareti della sua mente con le dita intinte nell’ocra? Da quando il pensiero si muove nel labirinto del creato a misurare, capire? Non smetterò mai di cercare tra le rughe del creato il volto nascosto di un Padre.

Antonino Amato

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